Monologhi della vigna: in fermento

la cantina è in rivoluzione; il mosto sta procedendo: nel silenzio del mondo si sente il bollore della magia della trasformazione: zuccheri che diventano alcool…

non posso perdere tempo nemmeno oggi

anche oggi devo agire, ossigenare, muovere le bucce, affondare il cappello premendo sul follatore

devo annusare, guardare, ascoltare, assaggiare…la fermentazione procede, i profumi inebriano, l’anidride si sparge nell’aria ed io non posso fermarmi…

misura, spilla, muovi, cambia, annota…un giorno dopo l’altro nella corsa che porta dall’uva al mosto, da mosto al vino

ho le mani appiccicose e le dita nere, è lo zucchero che dalla vendemmia ti penetra la pelle, è il colore dell’uva che di prende e ti conquista e che diventa parte di te

ho le dita nere, il segno dell’intimo matrimonio tra me, l’uva, il mosto e il vino: il frutto del matrimonio tra me e la terra

ma ora sono qui, con le dita nere e preparo qualcosa per gli amici che verranno: il lardo, affumicato con il ginepro, sarà ottimo per i nostri vini, affetto il salame che viene dai campi all’orizzonte della vigna e dispongo il formaggio che viene dalla valle

sono le piccole cose che raccolgo dagli amici, pronte a fare conoscere alla piccola fetta di mondo che decide di passare da qui

e sarà bello confrontarsi, condividere, notare le impressioni, valutare le espressioni

è un po’ freddo oggi e non è l’ideale bere il rosso così freddo, ma la stagione è questa, si sentiranno di più i tannini, ma non so se chi verrà a degustare lo capirà, ma non importa, anche questo fa parte della vita

non so nemmeno come ha fatto a trovarmi, chi decide, non sapendo dove andare di prendere una strada che non porta quasi a nulla per venire a trovare me, nel mio paradiso

vedranno le dita nere, ma in questi giorni respireranno il mosto

a volte di inizia con un po’ di freddezza, a volte prevale la timidezza, qualcuno addirittura è un po’ guardingo nel valutare quello che dico, ma finisce sempre con un abbraccio, con la promessa di tornare, tutti consapevoli che le ore passate insieme e attorno ad una bottiglia di vino sono in fondo una fetta di vita che entra nel bagaglio di ciascuno di noi

vedono le dita nere, perché ho messo le mani nel mosto, nelle bucce e nel vino e lo zucchero mi è entrato nella pelle, arrivando nell’anima come il profumo del primo vino

quando verso il vino il silenzio prepara l’attimo della degustazione: in fondo sono venuti qui per questo, per conoscere il mio vino, non per conoscere me

forse ne venderò un po’

è l’atto finale del lungo processo della mia passione ma vorranno sapere di tutto, come è fatto, cosa faccio, come avviene, cosa avviene, i trucchi, i segreti, come evolve, come fosse possibile spiegare davanti a un piatto e a un po’ di vino il miracolo della vita, il miracolo della natura

mi chiederanno cose che non ricorderò: i giorni di fermentazione, l’età della barrique, la temperatura di una certa fase: a volte non ricordo, qualche volta non lo so

qualcuno arriverà all’essenza del miracolo che entra nel bicchiere e solo pochi capiranno, nel loro intimo, che io ho solo fatto il guardiano di un processo antico che non ha bisogno di altro se non del tempo, della pazienza e della passione 

mi chiederanno quale è il vino che preferisco dei miei: quale annata, quale vitigno, ma non ho mai risposta, so solo raccontare la stagione del vino: il vino che viene dall’uva che ha preso più sole, quello che ha preso talmente tanta grandine che ancora arrabbiato, il vino che si è fatto aspettare e il vino che verrà

ci sarà pure un vino migliore dell’altro, quello più buono, quello venuto meglio, si, lo so, ma non riesco veramente a rispondere a una domanda così 

…molti capiscono, molti no, qualcuno mi parlano del difetto che ogni tanto scorgono nel bicchiere di quel particolare sapore, del fatto che qualche mese prima era diverso oppure solo qualche minuto fa…

io so perché è così, so quale scelta in quel momento quel vino ha preso quella strada, forse era la sua strada, forse anche la mia, ed è allora che penso che alla fine ogni vino abbia un senso, per buono e cattivo che sia, e soprattutto penso che il vino, quel vino, non solo sia frutto della vigna della stagione e del lavoro del vignaiolo, ma quando viene bevuto diventi il compimento del ciclo della vita

di tutte quelle persone rimarrà qualcosa del loro passaggio, come a loro rimarrà qualcosa del tempo passato qui

Monologhi della vigna: verso la vendemmia

raccolgo i piccoli grappoli, salendo tra i filari; oggi la vigna è ordinata e precisa, e ha attraversato le stagioni: guardo le gemme che ho curato l’inverno, fino a quando sono divenute foglie, e poi rami e poi hanno portato il frutto che adesso raccolgo,

è un ordine che parte dalla potatura di inverno: è allora che guardo le gemme, che decidiamo dove crescere e scelgo cosa tenere; sarà da quelle gemme che nascerà la foglia, nascerà il ramo, nasceranno i frutti, sarà da quelle gemme che inizierà la crescita furiosa di aprile, l’allungo di maggio, quando cerchiamo, io e la vite, l’ordine

e cammino e salgo e raccolgo: mastico, respiro, e annuso, pensando al vino che verrà

l’ordine è di chi anela al cielo, ma è attirato dalla terra: produrrà e allungherà i suoi viticci che, come per magia, troveranno un ramo, un filo, e con infiniti movimenti senza muscoli, un magico movimento fatto da intime cambi di forme, di bilanci di densità, di differenze di temperatura che fanno muovere cose che l’uomo distratto e chino sulle pendenze giornaliere non riuscirebbe mai ad immaginare, eh sì, perché la vite di muove, si cerca, si parla, si ama…. oggi io, ritrovo su quei rami, i grappoli, la vita, il futuro, ma anche il passato delle scelte che ho fatto e tutte le volte che l’ho osservata camminandoci

e cammino e salgo e raccolgo: mastico, respiro, e annuso, pensando al vino che verrà

la vite al mattino è reattiva e le foglie sono le foglie ritte e vive, pronte alla nuova giornata, fresche dal sonno e dal risveglio; si orientano al sole perché le piante si muovono e sanno quello che vogliono e anche le foglie si muovono…ruotando verso il sole, in un eterno equilibrio di chimica che è movimento, che le apre verso il sole, e le piega, quasi a nascondersi, quando invece l’arsura le coglie impreparate; come a dire, oggi non servi, mio sole, se mi privi anche di poco di quell’acqua che è vita 

e intanto continuo, raccolgo i piccoli piccoli grappoli da piante oggi ordinate e precise, ogni grappolo al suo posto

oggi devo capire quando vendemmiare, e cammino e raccolgo: un acino in cima al grappolo, un acino in mezzo, un acino vicino al peduncolo, un grappolo vicino al tronco, un grappolo lontano, devo chiedere alla vite se è pronta: le giornate si accorciano in questo inizio autunno, la vite è stanca, le foglie si ingialliscono

mastico l’acino, lo annuso, l’aria entra nel naso, cerco di percepire in vino che verrà, in un respiro un anno: la raccolta, la diraspatura, la svinatura e il travaso, la fermentazione, il riposo, tutto passa in un respiro dalla narice al cervello per cercare di capire se è tempo per il raccolto

mastico il vinacciolo, è marrone, non è più verde e non ha astringenza: sembra nocciola, sembra gradevole forse è ora, forse è il momento

guardo il cielo è limpido, sta albeggiando e il sole sorge illuminando il mondo

non è facile salire su quelle linee dritte senza sosta lunghe e ripide: tutte le volte pensi di non avere più l’età. Ma passo dopo sasso, pianta dopo pianta devo salire, raccogliendo, masticando, e intanto respiro con l’affanno che cresce

anche per me una nuova stagione, una vita, in questa vita che è vite

e intanto annuso, immagino il vino che verrà: cammino, e salgo e raccolgo. Ogni anno diverso, ogni anno speciale, mi fido dell’istinto del naso e del tempo, di quello che vedo, di quello che sento e di quello che faccio

quest’anno la pianta è stanca, non ce la fa, le prime foglie del ramo stanno appassendo, solo all’apice la clorofilla lavora e porta: spinge succhia raccoglie dal terreno quello che le ultime energie le lasciano, la terra è dura, compatta, di sasso, anche l’erba di solito invadente sembra soffrire

e cammino e salgo e raccolgo: mastico, respiro, e annuso, pensando al vino che verrà

l’orizzonte è limpido, il freddo la mattina comincia ad essere stringente, occorre decidere: al gusto l’acino è fresco, il nocciolo è croccante, il peduncolo è ormai legno; da oggi l’uva non ha più nutrimento e comincia ad appassire

non è facile capire come se è ora per la vendemmia, l’uva cambia, di pianta in pianta, la vendemmia è una; ci sono piante rigogliose, alcune piante meno, i rimpiazzi più giovani stanno già fruttificando e tutto entrerà nel vino, nello stesso vino

riguardo il sole che nasce, ci saranno ancora delle belle giornate, la temperatura non è ancora scesa forse ce la facciamo a resistere ancora un po’ e portare l’uva in cantina perfetta

cammino, salgo, raccolgo, mastico, respiro annuso gusto

non ci sono nuvole, non ci sarà grandine andiamo avanti… verso la vendemmia

Monologhi della vigna: un lungo viaggio

ho radici, ma percorro un viaggio da seimila anni: accompagno l’uomo, i suoi sogni, la sua voglia di evadere; lo accompagno nelle notti allegre e nelle mattine tristi; lo accompagno nella sua fatica giornaliera, con i suoi umori, con le sue gioie, con le sue tristezze

apprezzo i suoi gesti lenti, lunghi, pensati e pensanti e ho bisogno che mi accompagni nel cammino della vita e nel cammino della stagione; è il protagonista della mia vita e della mia migrazione, e lui ha bisogno di me, dei miei frutti e dei miei sogni

sono partita da lontano e ho percorso un filo magico sospeso tra il caldo e il freddo, l’umido e il secco, dove la notte si divide con giorno, dove il giorno non è mai troppo corto e la notte non è mai troppo lunga, mai troppo caldo, mai troppo freddo

è difficile camminare quando hai delle radici, quando sei fatto per vivere nella terra e per la terra, ma la terra di mezzo, la terra tra il freddo e il torrido, è fatta da uomini curiosi, da uomini operosi e da uomini ingegnosi, gli uomini che hanno avuto sempre voglia di sognare

è così che ho conosciuto rocce, sabbie e vulcani; ho navigato e scalato montagne; ho ubriacato eroi, ladri ed assassini; poeti e folli navigatori, ma sempre ed in ogni luogo ogni mia pianta e ogni mia vigna hanno trovato l’uomo che le cura e il terreno che le culla

è così che vicino al mare più limpido o alle distese infinite, nelle colline più aspre o sui vulcani più caldi, per me l’uomo ha liberato foreste e modellato terreni, ed è così che ho trovato il mio luogo, il mio letto, il mio cielo dove potessi esprimere il maglio dai mie frutti, dispensando buonumore e tristezze, allegria e torpore

è dalle mie uve e dalla mia vigna che l’uomo ricava il suo vino; dalle uve e da questa vigna, dalle mie uve, con mio uomo, dal il mio terreno…ed in ogni posto un’uva, un vino, un uomo, un terreno ogni volta diverso…

Monologhi della vigna: primavera

piove…la nuova linfa freme e ancora la mia voglia di crescere si fa sentire: i tralci incominciano a sentire il peso dei giorni, cercano il cielo, e nella loro crescita verso il cielo il peso lì piega:

aspirano al cielo, ma lì attira la terra

mi aiuterà l’uomo con il suo gesto paziente che, raccogliendo le mie liane, infilandole a una a una, mi raddrizza, mi pettina, mi rende più bella e così i miei viticci ballando nell’aria riescono ad aggrapparsi a qualcosa di solido: i filo, un altro tralcio, un palo finché alla fine ogni ramo si avvicinerà al suo sogno: arrivare al cielo

mi godo la bella pioggia, che ora è vita, ma quello vita non è solo gioia: a volte è goccia, a volte è torrente, è pioggia che mi lascia il tempo di bere ed è pioggia che mi affonda le radici nel fango, o peggio pioggia che scava, che toglie il respiro, che mi toglie la terra, che ti toglie la vita scoprendo anche le mie intime radici

e allora ogni volta ti trovi, dopo la pioggia sperare il sole, l’afa, l’umido fino a temere che questo folle alternarsi di tempi e di modi non porti la nebbia che oscura le foglie e che si prende i miei grappoli

allora supporto e sopporto l’uomo che con pazienza mi aiuta a trovare la piccola resistenza, mi viene in soccorso la terra, la natura, l’acqua, il sole e allora aspetto quella goccia di acqua, quelle gocce di essenza, di ortica, di salice, di zolfo, di rame, di odore, di sudore, di acqua, di sole, e di tutta la speranza mi accompagna verso l’apoteosi della mia stagione, quello che l’uomo che mi cura chiama vendemmia

e allora sole, pioggia, acqua, rame, zolfo, e ancora acqua, sole, rame, zolfo, e poi sole, pioggia e di nuovo acqua rame e zolfo

chissà se io e l’uomo che mi cura, riusciremo anche quest’anno a portare zucchero nel nostro frutto, e amore nel nostro vino

Monologhi della vigna: inverno

gennaio…un inverno come tanti, forse leggermente più caldo rispetto a qualche anno fa, il sole radente e basso, una leggera foschia all’orizzonte, il verde domina il panorama, un verde tenue, invernale appunto; uno uomo con una giacca rossa, due poiane che si inseguono, un rumore ritmico, il taglio della forbice con cui l’uomo sta potando la protagonista del dialogo di oggi: la vigna.

affronto il freddo di quest’inverno nuda, mi hanno abbandonato le mie foglie, ma mi rimane l’essenziale, il legno, le radici, ed i miei tesori: le gemme

l’uomo che mi cura mi sta spogliando privandomi di ogni pudore: ora sono tornata snella e libera a orpelli, libera da rami, vinaccioli e rametti, pronta per affondare i rami nel cielo

mi riparo dal freddo, dal gelo, godendo degli sprazzi di sole che spesso arrivano, anche ora, a gennaio, e scaldano il mio cuore, mentre aspetto la primavera

l’inverno è acqua, è neve, è pioggia è sole, ma è riposo, concentrazione, ricarica

nell’infinito incedere del tempo, mi ritrovo a fremere per tornare alla vita: aspetto che le giornate inizino ad allungarsi quando qualcosa finalmente succederà: le gemme mi chiameranno, hanno voglia di crescere, si prenderanno la linfa, come ogni anno, come ogni primavera…per spiccare il volo

e allora mi allungo: prima una, piccola e tenue fogliolina si libera dal suo guscio vellutato: la gemma che l’accudiva, e dopo la prima sanno due, tre foglie, e poi quattro, cinque, e poi ancora le altre e finalmente la primavera e la vita ritorneranno a farmi scoprire il cielo

Nuvole

I contadini oggi hanno scrutato con ansia l’orizzonte e i nuvoloni che pieni di pioggia, grandine a vento si avvicinavano al loro campo, al loro pane. Il testo di una canzone di Fabrizio De André è dedicato a loro.

Nuvole – Fabrizio De André – 1990

Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore

Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai

Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.

Esiste una ricetta?

Le diete sono la nova religione. Non è un caso che il declino delle religioni abbia conciso con il crescere della popolarità delle diete. Oggi avere cura del proprio peso coincide con il definire ed inseguire un percorso sano e virtuoso di cura del proprio corpo e che, molto spesso, sfocia in una dieta.

Sempre più frequentemente sentiamo parlare di vegani, fruttasti, vegetariani, salutisti… Persino il nostro ex presidente del consiglio, sempre all’avanguardia con le novità, è riuscito a far parlare di sé ultimamente solo per scelte clamorosamente improbabili (come Bertolaso sindaco di Roma) tra cui appunto il suo nuovo status di vegano (chissà jeeg Robot se venisse a sapere che Berlusca è vegano, lui che non ha fatto altro che combatterli).

L’inseguire però uno schema collaudato, guidato e regolamentato è una mera illusione. Le ricette dicono sì come procedere, determinano quantità modalità di esecuzione, tempi di cottura, ma tralasciano un fondamentale concetto: la qualità degli ingredienti. Spesso infatti ci si dimentica che le formule risolutive dipendono non solo dalle modalità organizzative e dal mix di ingredienti, ma essenzialmente dalla qualità degli ingredienti stessi, che alla fine sono la componente fondamentale.

Cosa sarebbe una crostata con una marmellata amara, un minestrone fatto con verdure poco appetitose, una dieta vegana senza ingredienti sani.

L’ossessione nei confronti delle formule danno l’illusione di facilitare la vita, offrendo “pacchetti preconfezionati” o meglio kit di soluzioni comode e facilmente disponibili e tralasciano di occuparsi della cosa che è più importante: la qualità dei componenti o meglio degli ingredienti.

Questo concetto non è solo applicabile alle diete. Cosa succede oggi, e troppo spesso, nelle aziende alla ricerca di razionalizzazione, efficienza, produttività? Si applica un modello: l’organizzazione per processi, le metodologie Lean oppure il metodo “registrato” della società di consulenza più o meno prestigiosa. Come se un’organizzazione prescindesse dalla qualità degli “ingredienti”, che nel caso di aziende sono “persone” che la compongono.
Diffidiamo pertanto dei marchi, delle diete, delle soluzioni preconfezionate: in agricoltura, nelle organizzazioni e nella vita in generale valutiamo veramente la qualità degli ingredienti che ci circondano. Solo così potremo salvaguardare la nostra salute e la salute delle persone cui vogliamo bene. Impariamo piuttosto a ‘pesare’ la qualità degli ingredienti, considerarne la consistenza, il carattere, la persistenza e i suoi effetti. Questo vale se si parla di ricette, di soluzioni, di organizzazioni. Ogni soluzione, ogni ricetta, è risultato di un equilibrio tra il risultato che vogliamo ottenere (strategia, target), gli strumenti che abbiamo (ingredienti, persone, mezzi) e l’organizzazione che definiamo (ricetta, modalità organizzative). Ogni elemento non può prescindere dagli altri.

Non posso ambire ad ottenere la una torta più buona (strategia) se non ho un forno e ingredienti di qualità (mezzi, strumenti, risorse) e non ho idea di come amalgamarli (organizzazione, ricetta); non posso ottenere un grande Merlot (strategia) se non ho un ottima uva e non so come fare vino, così come non posso essere innovativo (strategia) senza incentivare la ricerca, mettendo a disposizione le strutture adeguate.

Ho la luna storta

“ho la luna storta”
“sono a terra”
“era radioso”
“è una persona lunatica”
“è solare”
“ha i piedi per terra”
“camminava a due metri da terra”
“era alle stelle”

da sempre i nostri stati d’animo sono stati metaforicamente rappresentati attraverso gli elementi “astronomici” o “stati fisici”. La luna è notte, ombra, tristezza, occulto. Il sole è energia, vita, forza. L’aria è leggerezza, vacuità tanto quanto il fuoco è distruzione, ma anche ricostruzione.
Il mio contatto progressivo con la natura e quindi con me stesso mi ha sempre più avvicinato al recupero di questi aspetti ancestrali.
La terra, la luna e se vogliamo anche i pianeti del sistema solare possono (e hanno) dare un contributo o influenzare le nostre vite? Può un pianeta o un satellite portare dei cambiamenti nella nostra vita?
Una volta dovevo acquistare una trave di larice per sostenere un solaio: in quella occasione scoprii dal venditore che avrebbe dovuto cercare una trave tagliata con “la luna giusta”: le crepe che si formano nelle travi che sostengono i nostri soffitti infatti, si formano con più o meno forza a seconda che l’albero sia stato tagliato durante le fasi di luna crescente o di luna calante (e maledetta la mia memoria, non ricordo se vada tagliato a luna calante o a luna crescente).

Per la verità il venditore mi assicurava che la trave tagliata nel periodo giusto non si sarebbe crepata.

Ma la saggezza popolare non si fermava qui: le foglie vanno piantate con la luna crescente (le foglie “crescono” verso l’alto), le radici (carote, patate, ….) con la luna calante (le radici crescono verso il basso).
Antiche opinioni, credulità o concetti veri scientificamente provati?
La tradizione popolare ha sempre, a mio avviso, una base realistica: la tradizione popolare si basa sull’osservazione e come dicevo in qualche articolo di qualche tempo fa, è basata sul tramandarsi millenario dell’osservazione della natura e quindi basato su basi statistiche di assoluto rispetto, benché difficili da dimostrare in quanto tramandati dalla sapienza non scritta dei nostri vecchi. Ma perché non credere se non con una forte evidenza provata scientificamente?
Le maree esistono: sono l’effetto della forza di gravità della luna che periodicamente “attrae più o meno” le masse d’acqua degli oceani e dei mari: è una forza spaventosa se pensiamo a quanta forza deve avere un fenomeno che riesce a sollevare il livello del mare per decine di metri in quota e per milioni di chilometri quadrati in superficie. Nessuno di noi mette in discussione questo fenomeno e il contributo della forza della luna e allora perché pensare che la luna possa dare SOLO questo contributo.

La vitalità nella vegetazione, negli alberi, è data dalla linfa, un liquido che grazie a forze osmotiche riesce ad alimentare e a mantenere la vita negli alberi. Se potate rami di vite nel periodo sbagliato avrete la triste fortuna di vedere la linfa della vite; piccole goccioline, piccole lacrime che usciranno dal taglio del ramo di vite: è la linfa. Se la vita di un albero è linfa perché non pensare che la luna possa influenzare la vita di un vegetale? D’altra parte la luna è capace di “sollevare le acque” e la potenza e la forza di una marea è sotto gli occhi di tutti.

Le vite è una pianta terrestre: ogni sua foglia va verso il basso, ogni suo ramo cerca la terra, sicuramente la vite crescerà di più durante la luna calante che spingerà la sua linfa verso la terra, verso la vita, verso la rinascita, il contrario del cipresso i cui rami sono tutti orientati vero il cielo, ascendono, anelano all’infinito, sono come fiamme naturalmente protese verso il cielo. Non per nulla la vite è da millenni usata per rappresentare la vita e il cipresso è associato alla morte, all’ascesa. La luna non può non avere influenze diverse su queste piante governandone le fasi di crescita influenzando con la sua enorme forza la presenza di linfa?

In verità una base scientifica su queste teorie c’è ed è basata su tante sperimentazioni: è vero, pensare di incrementare la produttività di una vigna sfruttando la luna non dà business, per cui queste teorie non hanno la spinta “marketing” che si meriterebbero, ma esistono prove scientifiche che peraltro hanno dato origine a calendari, che danno indicazioni su come e quando operare nell’orto o in genere in agricoltura per massimizzare produzioni e risultato.
Quest’anno ho deciso di verificare sulla mia pelle questi calendari e, anche seguendo il consiglio di un amico, farà le mie prove su tanti bei ravanelli: se la teoria è confermata a seconda del periodo di semina avrò forme diverse del ravanello, e diverse forme del ravanello stesso a seconda che la semina sia stata più o meno influenzata da luna, Giove, Saturno, congiunzioni od opposizioni tra pianeti. Vi farò sapere, ma sono fiducioso che farò importanti osservazioni.

Perché scrivere di tutto questo? La nostra vita è influenzata da un infinito numero di parametri; sono situazioni locali, ambientali e cosmiche la cui combinazione genera un risultato: una crescita, uno sviluppo, una regressione, un umore, uno stato d’animo. La nostra vita, quello che facciamo, quello che coltiviamo, quello che creiamo è l’effetto condizionato di situazioni note, e soprattutto, non note, che non conosciamo e che possiamo solo intuire e subire. La scienza ha fatto passi da gigante per interpretare e gestire la natura, ma sa interpretare solo una piccola parte dei fenomeni dell’universo, una minima parte. Di una piccola parte ha una giustificazione logica per la quale riesce, la scienza, a riportare e ricostruire il fenomeno con le categorie di causa/effetto, di una parte ha solo l’interpretazione degli effetti, ma non ha ancora trovato le cause, ma la maggior parte dei fenomeni legati al mistero della vita rimangono ancora senza una spiegazione razionale riconducibile alle categorie umane di rappresentazione.
Non dobbiamo pensare che abbiamo capito tutto, ma abbiamo ancora tutto da imparare. il non trovare la spiegazione razionale o scientifica di un fenomeno non vuole dire che non esiste, la scala temporale per la verifica scientifica, applicando il metodo sperimentale, non è compatibile con i cicli naturali se pensiamo a fenomeni di transizione naturale, cambi climatici, evoluzione…ma tutto questo non presuppone che fenomeni legati da meccanismi di causa ed effetto non ci siano.

La luna ha una grande forza, lo abbiamo visto. Sa sollevare distese inimmaginabili di oceano per metri e metri; il corpo umano è fatto al 75% di acqua, come pensare che la luna non abbia un effetto sul nostro corpo?

“Oggi ho la luna storta….”

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L’albero celtico della vita: simbolo dell’eterno legame tra cielo e terra, luna e sole.

Agricoltore ingegnere

manuale ingegnereMi chiedono in tanti perché a cinquant’anni abbia voluto occuparmi di agricoltura, o meglio, mi chiede chi mi conosce perché abbia voluto sperimentarmi nella coltivazione di un vigneto, dopo una carriera spesa a ingegnare prodotti, progettandoli e mettendoli in produzione.
Non so dare una risposta da ingegnere: probabilmente nessun ingegnere, applicando le nozioni di business che ha recepito, si sarebbe mai avventurato in un’impresa simile. Mi verrebbe da aggiungere: figuriamoci fossi stato un bocconiano (la minuscola è d’obbligo, per la mia esperienza con gli effetti procurati dai bocconani nelle imprese in cui ho lavorato).

E’ riflettendo sulla mia formazione e sulla mia nuova esperienza che mi è venuto spontaneo paragonare le due esperienze e tracciare un piccolo schema.

Ingegnere: definisci le forme
Agricoltore: subisce le forme

Ingegnere: stabilisce le interazioni tra i vari elementi che crea
Agricoltore: subisce le interazioni tra gli elementi della natura

Ingegnere: ha a disposizione la possibilità di sperimentare, con un metodo scientifico e ripetitivo, definendo parametri di prova, controllandoli e variandoli a piacimento
Agricoltore: può sperimentare, stagione per stagione (e al massimo avrà a disposizione qualche decina di cicli stagionali) e ogni stagione sarà condizionata da condizioni esterne che non controlla (meteorologia prima di tutto).

Ingegnere: concepisce il suo prodotto, definendone tutti i dettagli (materiali, forme, funzionamento, limiti, tolleranze)
Agricoltore: subisce il suo prodotto, ne accompagna la crescita, ne facilita la formazione, ma non è assolutamente in grado di pilotarne il risultato finale che cambia di anno in anno, di stagione in stagione, da posto a posto, da mese a mese, e soprattutto il risultato finale è una sorpresa, nei suoi limiti, nelle sue tolleranze, non gestite dall’agricoltore.

Un prototipo si corregge, si aggiusta, si prova, un grappolo d’uva no, non si aggiusta, si prende così come è e si pensa alla stagione successiva, che è tra un anno, e sarà un’altra cosa.

L’agricoltura è affascinante: è come cercare di governare un fiume in piena  illudendosi di potercela fare, quando l’ingegneria è come scalare una montagna, piano piano sai che prima o poi la strada la trovi. Un fiume in piena va dove vuole, una montagna è lì, prima o poi trovo il modo di arrivare in cima. Mondi affascinanti, diversi, affascinanti.

Un ultimo accenno: ho parlato prima dei bocconiani (che peraltro il mio correttore automatico continua a trasformare in bocconcini): il metro di giudizio per giudicare un impresa per un bocconiano è la durata di ritorno del capitale: in quanto tempo cioè riguadagno quello che ho investito. Un anno, massimo due anni, tre per investimenti importanti, quattro o cinque se sei una multinazionale. Se avessimo usato questo criterio nel passato, quanto esisterebbe del ben di dio che abbiamo oggi?

Alla fine di tutte le riflessioni la vera risposta alla domanda iniziale è molto semplice.

La domanda era: “perché a cinquant’anni hai voluto occupati di un vigneto?”

La risposta è: “perché no”

Tra una “o” e una “u”

Tra una o e una u la differenza è poca e l’assonanza più immediata che viene parlando di colture, è con la parola cultura. In effetti in queste pagine ho parlato spesso di entrambe le cose, ricordo l’articolo sul patrimonio culturale che abbiamo perso (la cultura della coltura mi viene da dire), sulle conoscenze che occorrono per coltivare. L’assonanza mi ha incuriosito e ho voluto per una volta uscire dal seminato (ma non troppo) della rubrica ambiente per capire se l’etimologia delle parole potessero aiutarmi ad avvicinarmi alla radice delle cose.

Cultura deriva dal latino còlere, coltivare, e in senso figurato avere cura, trattare con attenzione, riguardare, nel senso di avere riguardo, e anche onorare, avere cura del luogo che coltiviamo, che poi vuole dire avere cura del luogo che abitiamo.  Ma significa anche venerare  che poi vuol dire avere cura degli dei, da cui poi deriva la parola culto, participio del verbo coltivare. E in agricoltura chi coltiva ha cura, tratta con attenzione e riguardo…

Cultura in latino è un participio futuro: sono participi futuri nascituro, participio futuro di nascere, che è ciò che sta nascendo.  Cultura è ciò che è prossimo alla cura, alla coltivazione, come culto, participio passato, che è ciò che è preparato, coltivato, pronto per dare frutti.

Coltivare e la cultura sono la stessa cosa!

Avere cura, avere riguardo, avere rispetto porta i frutti, porta ad avere cultura e ad avere il raccolto, ad essere colti. La cultura negli antichi era la sapienza della conoscenza che, in tempi in cui la tecnologia aveva come materia prima la natura, aveva come campo di applicazione la natura appunto: la natura che era ciclo delle stagioni, il ciclo vitale delle piante, la sua conoscenza che portava al raccolto: la cultura.

E’ colto chi ha cura, chi studia, chi ha rispetto, è cultura ciò che è capace di dare frutti..

L’agricoltore fa quindi cultura, come lo fa chi si prende cura di qualcosa: prendendo cura si approfondisce la conoscenza, cogliendone gli aspetti e raccogliendone i frutti, siano essi (ormai ho fuso l’articolo e non so più se parlo di u o di o) culturali o colturali. Ed è per questo che il legame con la terra che tanto rinforzo nei miei articoli deve essere “coltivato” e fortemente rinforzato.

Ho letto una frase di quelle che Facebook ti sputa addosso ogni tanto: la terra è bella, abbiamone cura. E come se non coltivando?

Siamo sempre qui: cura, cultura, coltura.

Gli avvenimenti di questi ultimi giorni e le discussioni sulle barbarie degli assassini in nome della religione solo l’effetto della mancanza di cultura, della mancanza della “coltivazione” del “culto” del rispetto e della libertà.

Invito tutti a riflettere su un ulteriore approfondimento: còlere ha la radice di kwel, ruotare, girare; girare è il gesto delle prime comunità umane organizzate, che iniziavano a stabilirsi in un territorio incominciando a coltivare il territorio: girare è ruotare la terra, dissodare (sempre il legame con la terra…); ruotare la terra è ancora avere cura, coltivare, per un frutto futuro, cultura. Con l’agricoltura è iniziata la civiltà, la concezione della circolarità del tempo, l’agricoltura richiede un rapporto forte con il tempo e la concretezza, con il destino e il fato, l’abbandono dell’agricoltura riporta verso il tribalismo, la barbarie e una frammentarietà che è perdita del senso di comunità e di civiltà.

Agricoltura è cultura, coltivare la terra è cultura e il vero culto dovrebbe essere del nostro territorio da cui in fondo traiamo anche il nostro sostentamento.

Oggi la cultura dove sta?

Nella scuola se insegna la passione per la cura e l’approfondimento, e non nel nozionismo e nelle astrazioni; nella tradizione se sono rispetto e approfondimento e non nel finanziamento di sagre e feste come l’orientamento degli assessorati della cultura di questo mondo.

La cultura è nei gesti di ognuno di noi, quando, con costanza e determinazione prendiamo cura di qualcosa e aspettiamo che arriveranno i frutti.